03/10/2022 -> 14/10/2022
Auditorium Danesin - Rosignano Marittimo
Teatro
da H. Ibsen
Episodio 1 della trilogia 7 NOTE IN CERCA DI AUTORE
Immaginare
Lei suona una melodica, una piccola tastiera a fiato, detta anche diamonica o clavietta. (L’uso di questo strumento è prevalentemente didattico). La suona evitando di suggerire un’atmosfera malinconica. I suoi tentativi di creare suspense a commento del confronto con “lui” non andranno a buon fine. L’effetto non-voluto sarà di empatico straniamento. Tra i due.
Lui osserva assorto un giradischi. Ogni tanto suona un vinile.
Entrambi contemplano di sfuggita, ma con ostinazione, il mondo; sia quello vero della vita ordinaria, sia quello mediato della vita “straordinaria”. L’indignazione di entrambi, un tempo indomita, ora sfuma in dissolvenza nel solfeggio.
Entrambi non si tirano sottraggono quando realizzano che problematizzare le loro idee ha un preciso scopo, metterle in discussione; e trovandosi su questo punto reciprocamente in comune accordo, alimentano e sciolgono le stasi, anche paradossali ma vitali, del diverbio.
Il seme dell’intolleranza anche in loro trova radici, ed è la presenza di questo elemento a invitarli al confronto costante e imprevedibile.
Sembra che entrambi abbiano la testa tra le nuvole; forse per l’istinto di voler cogliere al volo il senso.
Annotazione
Del testo di Ibsen rimangono tracce del terzo atto quando Nora con determinazione sceglie e decide. L’atto in cui, a differenza dei primi due, la maggioranza degli spettatori (nei primi decenni del ‘900) è rimasta sbalordita e sorda.
“Perché gli spettatori, i cavalieri e le dame che l’altra sera hanno visto svilupparsi, sicuro, umanamente necessario, il dramma spirituale di Nora, non hanno a un certo punto vibrato con la sua anima, ma sono rimasti sbalorditi e quasi disgustati della conclusione?”
(La morale e il costume, Casa di bambola di Ibsen – Teatro Carignano di Torino – Antonio Gramsci – 22 marzo 1917)
Una ricognizione intorno ai diritti negati, alla dottrina male intesa, alle asimmetrie discriminanti della fede, ai precetti a uso e consumo, alle perversioni della “cultura”, alla protervia del sistema patriarcale, alla comodità vile di servirsi del pregiudizio a difesa del proprio stato di privilegio. Il “genere” e la “classe” sono due diverse forme di oppressione.
Perché uno spettacolo sulla condizione femminile?
Perché abbiamo incontrato Matilde, una donna italiana non più giovane che porta sul viso le tracce di una bellezza classica, la beltà di una “bambola” che forse un giorno fu. Capelli dorati, sguardo profondo, l’espressione del viso materna. Matilde ha sposato un alto dirigente di una struttura sanitaria pubblica con il quale ha avuto due figli. Matilde ha deciso di abdicare al suo ruolo di moglie perché delusa dall’inettitudine e dall’assenza di relazione con il marito. Da quando ha deciso di lasciare quest’uomo la sua vita è diventata una sequela di persecuzioni e soprusi, che con enorme sofferenza è riuscita, felicemente, a superare.
Perché abbiamo conosciuto Maisa, una donna libanese spericolata e autentica che svela le ipocrisie della civiltà araba. Una donna che si fa carico di spezzare e dare voce al tabù della donna araba silenziosa e assente. Una donna che combatte con candore per conquistare diritti considerati inalienabili.
di Scappin| Vannoni
ideazione quotidianacom
produzione quotidianacom – ERT (Emilia Romagna Teatro)
OperaEstate Festival – Teatro della Caduta