ARMUNIA
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QUANDO

18/03/2024 -> 29/03/2024

DOVE

Auditorium Danesin | Rosignano Marittimo

TIPOLOGIA

Teatro

MISERELLA
un progetto di Teatro dell’Argine

con Caterina Bartoletti, Giulia Franzaresi, Ida Strizzi e Micaela Casalboni

Miserella è il nome popolare dato nel dialetto toscano alla pianta nota come Daphne Mezereum, detta anche “fior di stecco” perché ospita una miriade di fiori su un gambo all’apparenza secco, morto, anche quando nel pieno del vigore. In più, “mezereum” significa “mortale” in latino, perché la pianta, all’apparenza meravigliosa, subito dopo la fioritura produce piccoli frutti rossi velenosi.

Una pianta, dal nome di donna, che produce fiori da un corpo secco e frutti pericolosi.

Miserella è un lavoro di teatro fisico e d’attore, anzi d’attrice, sul tema del corpo che invecchia, che cambia, che decade, in particolare il corpo femminile. Quattro quadri, quattro donne, quattro attrici: quattro corpi, diversi fra loro, insieme eppure isolati, che agiscono lo spazio e la voce come animali in gabbia, alla ricerca di un nuovo patto con il proprio sé che cambia, corpo infortunato, corpo di madre, corpo di attrice, corpo di ballo, corpo sterile, voce-corpo che si astrae da sé per guardarsi dall’esterno. Corpo che, in questa sua decadenza, ci fa pensare al Pianeta che brucia e trema, all’Umanità che si corrompe e si uccide, e anche al Teatro, sempre sul punto di morire, sempre fragile e precario, sempre regolato da sistemi asfittici, scoordinati e mai al passo con i tempi, eppure sempre con fiori freschi sul suo gambo secco che era dato per morto.

Miserella è il nuovo spettacolo del Teatro dell’Argine, ora appena all’inizio del cammino di ricerca che lo porterà ad esistere. In scena, quattro attrici del Teatro dell’Argine, Caterina Bartoletti, Giulia Franzaresi, Ida Strizzi e Micaela Casalboni, che ne cura anche la regia. Nel dietro le quinte, l’intera squadra artistica del Teatro dell’Argine, in particolare Andrea Paolucci e Nicola Bonazzi, che faranno da sponda al lavoro drammaturgico e di regia, in un gioco collettivo di scambio e per accumulo, simile a quello che portò, ormai quasi vent’anni fa, a spettacoli come Tiergartenstrasse 4, Gli equilibristi e Liberata. La Compagnia bolognese, da sempre impegnata in un composito arcipelago fatto di spettacoli, progetti, scambi internazionali e azioni partecipate che si svolgono in parallelo e che si nutrono vicendevolmente, dà vita a un nuovo lavoro per indagare il sentire contemporaneo attraverso forme inedite. Da qui la necessità di un cammino di ricerca lungo, che alterni sessioni di allenamento ed esplorazione a fasi di prova e creazione drammaturgica, con diversi appuntamenti di anteprime a porte chiuse, in oltre un anno di lavoro, a partire da marzo 2023 e fino a maggio-giugno 2024, periodo nel quale cade il trentennale del Teatro dell’Argine (1994-2024).

MISERELLA. NOTE A MARGINE.

Il Teatro dell’Argine compie 30 anni (1994-2024). I suoi membri, cioè noi, compagni e compagne di breve e di lungo corso, ne compiamo 50 (e rotti), 40, 30, 20… E nella stagione che porta al nostro trentennale, vogliamo farci due regali.

Il primo dono consiste nell’avviare un percorso di ricerca lungo e profondo, talmente lungo da essere antistorico, sicuramente antisistema, almeno per noi: dedicare al lavoro su un unico spettacolo più di un anno di tempo, con un nucleo fisso di 4 persone, che diventano 6 e poi 8 in certe fasi, è un lusso che da tempo non ci prendevamo. Chissà se ci riusciremo.

Il nodo centrale di questo lavoro è il corpo che invecchia, in particolare il corpo femminile (sarà un caso? Immagino di no): chi sono io quando nasco? E chi (cosa?) divento quando cresco, muto, mi trasformo, fino quasi a non riconoscermi nello specchio o a non riconoscermi nel mio corpo, che non obbedisce, duole, si rifiuta, fa ma poi si spezza?
Ginocchia, voce, schiena, mani, occhi (e occhiaie e occhiali), capelli (tinti), ritmo del sangue, sinapsi e neuroni, sensi e sensibilità, forza vitale e decadimento.
Chi, cosa sono io? E gli altri attorno a me? Loro sono ancora loro mentre io cambio? «Senectus ipsa est morbus», scriveva Publio Terenzio Afro nel 160 a.C. Francesca Rigotti, in De senectute, argomenta che «questa non è un’epoca per vecchi: nell’orgia di giovanilismo che contraddistingue i nostri giorni, donne e uomini anziani sono esposti a una sorta di rottamazione che nasce da un ingiustificato astio verso rughe e capelli bianchi […]. Se poi la vecchiaia è una stagione della vita […], che senso ha parlare specificamente di vecchiaia delle donne? Non esiste una differenza delle qualità delle donne e degli uomini […]; esistono invece pregiudizi maturati nel tempo […], eredità di comportamento e “vestigia di gender”, tra le quali sicuramente quella della sterilità».

Quanto alla forma, quali mai potranno essere le modalità rappresentative che restituiscono questo nodo? Credo, per ora, che non saranno parole quelle che raccontano, o, se parole saranno, saranno parole a loro volta fisiche, corporee, materiche, in uno spazio teatrale che necessariamente dovrà essere inedito, non familiare, irriconoscibile, alieno. Una prima ispirazione visiva per iniziare il cammino di ricerca verso lo spettacolo, viene dalla marionetta ibrida di Natacha Belova, che per certi versi mi riporta alla mente i pupazzi de La classe morta, e i loro doppi in carne e ossa, ovvero i meravigliosi attori e attrici di Kantor. Un misto di natura e artificio, risucchiato, rinsecchito eppure vitale, conturbante e commovente. Una prima ispirazione di ritmo e di suono, ma anche di carne, viene invece dal Beckett di Non Io, di Va e vieni, di Commedia, di Parole e Musica, con personaggi/persone dai corpi che si smontano o che non sono affatto previsti; e dal mio amatissimo Testori, dalla sua lingua incarnata e carnosa, dalle sue visioni apocalittiche e profane.
La prima immagine che viene fuori da queste ispirazioni di conio prezioso è quella di un teatro fisico, un teatro del corpo dell’attore, anzi dell’attrice, un teatro che non nega la parola, ma la ingloba, la incarna, la mette nel corpo. Parola incarnata, corpo parlante.

A questo punto diventa importante capire di chi sono questi corpi. Il primo è il mio, di ultracinquantenne, 1m e 61 per 54 kg, bianca anzi pallida, capelli castani ramati (tinti), lentiggini, attrice e anche tante altre cose in seno all’Argine. Gli altri sono i corpi di Caterina Bartoletti, Giulia Franzaresi e Ida Strizzi, attrici e arginine di lungo corso ma più giovani di me, compagne e sorelle da decenni, con le quali ho condiviso, tra le altre cose, un cammino di formazione teatrale avanzata e intensiva che per anni ci ha tenuto insieme una volta a settimana a coltivare per l’appunto i nostri corpi e le nostre costruzioni teatrali, senza scopi di messa in scena, bensì unicamente di ricerca, di allenamento e di immaginazione creativa. Questo cammino di ricerca, al di là del nodo d’ispirazione centrale, non ha nessun punto fermo se non loro, la mia voglia di ricostruire questa piccola, tenace squadra di lavoro, che non teme la fatica e gode dello stare insieme nello spazio terzo del teatro.

Da qui partiremo. Quattro donne. Insieme ma sole. Quattro corpi. Diversi. Quattro reagenti che si combinano, innescano e si consumano.

Da questa immagine di partenza nasce il secondo dono che vogliamo farci. Perché questo cambiamento, questa trasformazione, questo decadimento del corpo diventano ben presto simbolo e allegoria della decadenza e della rovina del Pianeta, scaldato e percosso dalle conseguenze dell’antropocene; e dell’Umanità, crudele e smarrita, vorace e perduta, rinsecchita eppure meravigliosamente adorna di esseri che splendono e meriterebbero migliore vita. Ma diventano anche simbolo e allegoria del Teatro, sempre sul punto di morire, sempre fragile e precario, sempre regolato da sistemi asfittici, scoordinati e mai al passo con i tempi, eppure sempre con fiori freschi sul suo gambo secco che era dato per morto. Dunque, questo secondo dono sarà avviare un percorso di ascolto e di confronto, che si concluderà a giugno-luglio 2024 con un momento collettivo di riflessione e di gioco, non un convegno nel senso tradizionale del termine, bensì la versione culturale e transdisciplinare di un hackaton sul tema del (presunto?) invecchiamento e (sempre annunciato) decesso del Teatro. Nell’arco di un paio di giorni, avvieremo modalità e percorsi innovativi di discussione, nei quali si alterneranno sessioni collettive e sessioni riservate a piccoli gruppi o squadre di lavoro, costruite da persone provenienti da background molto diversi, come ad esempio 1 artista, 1 critico, 1 esperto museale, 1 tecnico, 1 spettatore, 1 cittadino-non-spettatore. Il tutto è ancora da definire e costruire in un percorso condiviso, ma intanto metterlo nero su bianco ci consente di cominciare a vederlo realizzato.

Micaela Casalboni Teatro dell’Argine

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