08/01/2025 -> 13/01/2025
Teatro Nardini - Rosignano Marittimo
Danza
Prove Aperte Residenze sabato 11 gennaio 2025
INTRODUZIONE
“Lacrimosa” ha inizio con la morte del cigno, con la fine di un amore, con la restituzione della nostra solitudine. Da sempre simbolo che compare nel folclore e nelle fiabe di diversi popoli, il cigno è associato all’idea di purezza, grazia, bellezza. Simbolo di realizzazione completa, in quanto raffigura sia l’essenza maschile (il lungo collo, simbolo fallico) che quella femminile nel corpo candido e rotondo.
In “Lacrimosa” tuttavia, il cigno cessa di esistere, non restano che piume della sua memoria, del suo passaggio. Al suo posto ritroviamo un corpo nudo, bagnato, che tenta invano di ricomporre i pezzi di quella felicità raggiunta e ora dimenticata. Come parti di un puzzle, si cerca di riportare in piedi un corpo che non trova le forze per farlo, viaggiando in forme che ricordino la bellezza del tempo andato. Ma la mancanza di un solo pezzo di sé, irrimediabilmente fa crollare ogni altra piccola parte.
L’agguato è nell’angolo, la perdita dell’altro, l’abbandono amoroso ci rende umani, togliendoci quelle paia di ali cosi pazientemente costruite, grazie alle continue promesse d’amore. Si ricade nel tempo, ci si costringe alla terra pesanti, senza forze, lontano il sentore della leggerezza del corpo, bagnato dalle tante lacrime versate in così poco tempo. Tornano domande come stormi migratori, perché è finita? Cosa ho che non va? Da dove arriva questa pesantezza? Domande a cui un cigno non saprebbe dar risposta. Ma può un uomo tornare a volare?
Se ogni storia d'amore è una storia di fantasmi, a maggior ragione lo è la storia del primo amore, il più distante. Esiste un breve momento magico, come il raggio verde sul mare, quando si è abbastanza ma non troppo distaccati: allora si può e si deve raccontarlo come una cerimonia simbolica, l'apoteosi di un lungo addio.
PUNTO DI PARTENZA: La tradizione
“La morte del cigno” di Michel Fokine e “Il Lago dei Cigni” sono i punti di partenza della mia indagine coreografica. Due opere importantissime per la storia della danza occidentale, più volte rivisitate, riscritte e reinterpretate nel corso degli anni. Mi chiedo allora che valore abbiano oggi? Cosa può ancora trasmetterci una figura simbolica come il cigno? Come risuona nella contemporaneità la sua immagine? Che significato ha la sua metamorfosi oggi? Riconosco in ciò, una memoria del corpo in costante interazione con il presente, che si scontra con l’idea di una danza effimera, ma che ritrova un riscontro nella nuova sensibilità collettiva.
Se nel “Lago dei cigni” (oggi forse il balletto più famoso del mondo), si racconta della principessa Odette, che per colpa di un perfido sortilegio viene costretta alle sembianze di un cigno bianco, in “Lacrimosa” il Cigno è l’apice del corpo innamorato, che definisce e ricrea l’amore; è la sua metamorfosi, è l’unione consustanziale tra l’io e l’altro. Se nel “Lago dei cigni” La maledizione sarà sconfitta soltanto da un giuramento d’amore, in “Lacrimosa” lo stesso giuramento spezzato riporta il corpo alla sua caducità, fragilità, alla sua solitudine, che invece per l’atto d’amore si era tramutato in essenza sublime.
“La morte del cigno” di Michel Fokine, contrariamente diviene il punto di partenza della mia ricerca, la sua fine (poco più di quattro minuti) è il punto d’origine da cui parte la mia visione di un concreta perdita.
INDAGINE COREOGRAFICA
Con il corpo trattengo i gesti dell’altro, rifiuti tossici che sarebbe meglio smaltire, ma che ostinatamente non riesco a lasciare. Baci, mani avvinghiate, abbracci e nuca sulle cosce, tanti i ricordi delle sue gentilezze sul mio corpo, che ora divengono carezze troppo pesanti da sostenere, rendendolo inerme e portato dalla stanchezza alla terra.
Cedere o trattenere, in “Lacrimosa” forse la danza, in tutti i suoi aspetti, è tutta qui, mi dico. In questo movimento avanti e indietro, riempirsi e svuotarsi, prendere e dare, occupare e liberare (spazi, corpi). Eccomi, di fronte a ciò che è stato, a ciò che più non è, che per viltà o paura, non ho la forza di buttare, di mollare. Che riaffiora attraverso posture ricreate dal corpo, per sentirsi di nuovo a casa, gesti familiari, a cui ci si è nel tempo abituati. Chissà perché è così complicato, misurarsi con il tempo andato, un tempo che sembra fermarsi e collocarsi nelle cose, forse ci guarda, giudica e poi compatisce - Tra i piatti, le posate, nei vestiti o nel nostro fedele lampadario. E’ difficile restare in equilibrio, decidere cosa conservare e cosa invece eliminare.
E se lo stessa indecisione possa valere per il movimento, per la gestualità (oggetto che nasce, vive e muore nel corpo) che si insinua nella memoria del corpo e lascia strascichi del suo passaggio. Mi chiedo se anche il movimento, così come gli oggetti, patisce l’abbandono e il momento dell’addio. Il corpo senza reticenza prova a togliere il superfluo, l’ingombro, forse senza rimorsi, rimpianti o ripensamenti, per liberarlo e mantenere l’innocenza.
NOTE REGIA
“E per tutti il dolore degli altri è dolore a metà” cantava Fabrizio De André. In Lacrimosa il corpo non è visibile nella usa interezza, lo vediamo di spalle, di profilo, attraverso dei vetri, ma difficilmente ne cogliamo la sua totalità. Forse la fragilità, l’intimità mi chiedo, è qualcosa che dobbiamo custodire in maniera molto più preziosa di ciò che facciamo. Il dolore ci conduce ad una visione sfocata, ciò che mostro non è ciò che vedo. L’opaco, la visibilità ridotta, è in Lacrimosa un modo per vedere ciò che non è possibile cogliere con gli occhi. Ci sarà un tempo per voltarci, guardarci, occhi negli occhi, viso a viso, e in quel preciso istante Lacrimosa cambierà impronta. Nel movimento e nel corpo si attuerà una decisone fisica, un cambiamento, che porterà il corpo ad un nuovo uso dello spazio vissuto. Forse un nuovo volo?
La mia indagine parte da una volontà di capire, analizzare, lo stato in cui riversa il corpo che subisce l’abbandono amoroso. Questo “Noi” oramai diventato un “Io”, abbandonato, ignorato, appesantito dalle domande di una impossibile fine. Questo corpo che si fa mediatore tra i contrastanti sensi di colpa, i tanti ricordi e rimorsi che non vogliamo lasciar andare. L’assenza è sempre quella dell’altro. Voglio guardare ciò che mi divide, mi taglia.
Capire, non è forse scindere l’immagine, disfare l’io?
L’assenza amorosa è possibile in un solo senso e non può essere espressa che da chi resta e non da chi parte: io, sempre presente, non si costituisce che di fronte a te, continuamente assente. L’altro che parte, mentre sono io che resto, l’altro che è in stato di perpetua partenza, egli che è per vocazione migratore, errante, mentre io che amo sono invece, per vocazione inversa, sedentario, immobile, in attesa, sempre nello stesso posto.
Nell’assenza amorosa io sono, tristemente, un immagine staccata, che si secca, si accartoccia. I Pensieri, i conflitti, il sentimento d’abbandono in cui riversa l’amante, pone il corpo in una posizione sconveniente, artefice-testimone, depositario di una promessa infedele. La scoperta di una non mancanza (io non manco più all’altro), che l’altro può vivere anche senza di me, ci conduce in una spirale di pensieri senza via d’uscita, in uno stato di forte ipersensibilità, come difronte ad uno specchio interrogante. L’assenza si protrae e bisogna che io la sopporti, inizi a manipolarla. Questa messa in scena, allontana la morte dell’altro, ma nello stesso tempo ritarda il più a lungo possibile l’istante in cui l’altro potrebbe, dall’assenza, piombare bruscamente nella morte. Non c’è possibilità di dimenticare senza ricordare. Solo al culmine di questo lavoro della memoria potremo dimenticare l’oggetto perduto e recuperare le nostre ali (la nostra libido). Per incontrare una nuova presenza bisogna fare in modo che l’assenza sia una vera assenza.
ASCOLTO MUSICALE:
RIFERIMENTI E FONTI PIU’ SIGNIFICATIVI:
“L’amore e l’Occidente” Denis de Rougemont;
“Le cose dell’amore” Umberto Galimberti;
“Frammenti di un discorso amoroso” Roland Barthes;
Simone Zambelli Diplomato all’Accademia Nazionale di Danza di Roma indirizzo contemporaneo, consegue una laurea magistrale in Teatro, Cinema, Danza e Arti digitali alla Sapienza di Roma. Collabora con Emma Dante nello spettacolo Misericordia, da cui è tratto il lungometraggio cinematografico che lo vede tra i protagonisti (2023). Candidato ai premi Ubu 2021 come miglior attore/performer under 35. Ha collaborato con la compagnia Zerogrammi, Balletto Civile di Michela Lucenti, con Jason Mabana Dance Company, Cie Taiwan e Muxarte. Prende parte nel 2018 al Free Professional Development Workshop DV8 condotto da Lloyd Newson, Hannes Langolf ed Ermira Goro. Non Ricordo è il primo lavoro autoriale, di cui è vincitore nel 2019 della sezione Monologhi nel Festival Inventaria, nel 2018 è Menzione Speciale al Premio Equilibrio. Continua la sua avventura cinematografica, è tra gli attori scelti e diretti da Bille August per la serie Rai Il Conte di Montecristo in uscita nel 2024.
di e con Simone Zambelli
frammenti scritti di Simone Zambelli
dramaturg Cinzia Sità
disegno luci e video mapping Alice Colla
musiche AAVV
produzione sostenuta da C&C Company, coproduzione Tersicorea T.off,
con il sostegno di Periferie Artistiche centro di Residenza Multidisciplinare della Regione Lazio/Vera Stasi;
Un ringraziamento speciale all’assistenza coreografica di Arabella Scalisi.